Nel secolo XV i veneziani, temendo che Ferdinando I di Napoli, allargando i confini del suo regno, potesse col tempo arrecar loro fastidio, pensarono di rivolgersi a Maometto II, imperatore di Costantinopoli, invitandolo a conquistare il regno di Napoli. Così ritengono la maggior parte degli storici. (In seguito ai prosperi successi che Alfonso figlio di re Ferdinando, allora faceva nella Toscana, i Fiorentini ricorsero a Venezia per consultarsi intorno a quello che si poteva fare per liberarsi di quella guerra; e a Venezia si decise d'invitare il Turco "come signore potente e desideroso d'acquistar regni").
I veneziani in effetto provavano invidia contro le fortune di Ferdinando e volevano impedirgli di allargare di più i confini del suo regno, anche perché dubitavano ch'egli mirasse al dominio di Cipro che i Veneziani possedevano. Non bisogna pure tacere il fatto che i veneziani avevano sempre aspirato, senza mai riuscirvi (se non parzialmente e perentoriamente dopo gli avvenimenti della guerra d'Otranto), di metter piede su qualcuno dei porti del Mezzogiorno e in ispecie delle Puglie.
Maometto accettò l'invito e con un poderosa flotta di 200 navi e con 18 mila combattenti, affidati all'ammiraglio Achmed o Agomat Bassà, movendo da Valona venne in Italia.
Ferdinando all'annunzio fortificò le città marittime e specialmente Otranto, ove fece entrare 1000 altri soldati presidiari e 400 lance, affidandone il comando a due esperti capitani, Francesco Zurlo napoletano e Giov. Antonio Falconi fiorentino. Agomat s'indirizzò verso Brindisi, ma o fosse timore di trovar quella città ben fortificata, o, come altri vogliono, per i venti contrari (Il vento di Tramontana lo spinse 50 miglia più in basso), venne più giù. Dopo una leggiera puntata contro il castello di Roca, i Turchi si riportarono a Otranto, e il 28 luglio 1480 si presentarono davanti al porto in ordine di battaglia. La città si chiuse per opporre resistenza.
La flotta ottomana incominciò lo sbarco delle milizie e dei cannoni, dei cavalli e delle salmerie. Un parlamentario turco si accostò ad una delle porte, chiedendo la resa a patti onorevoli per la guarnigione e per i cittadini; ma questi, riunitisi in assemblea popolare, decisero di resistere ad oltranza, e minacciarono di morte quel cittadino che avesse parlato di resa. Il vecchio cittadino Lanzilao De Marco prese le chiavi della città e sdegnosamente le gittò nel mare.
Litografia Ottocentesca dei Martiri di Otranto
Questa determinazione assume importanza maggiore quando si pensi che gli otrantini non avevano speranza di aiuto, perché, come abbiamo accennato a principio, l'esercito di Ferdinando combatteva in Toscana in quel tempo, e perché essi sapevano di trovarsi in condizioni d'inferiorità rispetto al numero dei nemici.
I turchi cominciarono il bombardamento; la città eroicamente resistette finché ebbe forza, per ben 16 giorni, ma poi, sopraffatta dal numero preponderante dei nemici (i 1000 uomini mandati da ferdinando vigliaccamente erano scalati dalla città), fu presa di assalto e saccheggiata, in mezzo ad un'orrenda strage di cittadini di ogni sesso e d'ogni età, che opposero resistenza via per via, porta per porta. Non pago il feroce Mussulmano della vittoria, volle immolare 800 inermi cittadini, che il 14 agosto, sul vicino colle della Minerva, preferirono il martirio all'abiura del Cristianesimo.
I Martiri di Otranto
I Santi Antonio Primaldo e compagni martiri, conosciuti anche semplicemente come Martiri di Otranto, sono gli 813 abitanti della città salentina di Otranto uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi guidati da Gedik Ahmet Pascià, per aver rifiutato la conversione all'Islam dopo la caduta della loro città. Sono stati canonizzati il 12 maggio 2013 da papa Francesco; erano stati dichiarati beati il 14 dicembre1771 da papa Clemente XIV.
Storia
Il 28 luglio 1480 una flotta navale turca del sultano dell'Impero ottomano Maometto II proveniente da Valona, forte di 90 galee, 40 galeotte e altre navi, per un totale di circa 150 imbarcazioni e 18.000 soldati, si presentò sotto le mura di Otranto.
La città resistette strenuamente agli attacchi, ma la sua popolazione di soli 6.000 abitanti non poté opporsi a lungo ai bombardamenti. Infatti il 29 luglio la guarnigione e tutti gli abitanti abbandonarono il borgo nelle mani dei Turchi, ritirandosi nella cittadella mentre questi ultimi cominciavano le loro razzie anche nei casali vicini. Quando Gedik Ahmet Pascià chiese la resa ai difensori, questi si rifiutarono e in risposta le artiglierie turche ripresero il bombardamento. L'11 agosto, dopo 15 giorni d'assedio, Gedik Ahmet Pascià ordinò l'attacco finale durante il quale riuscì a sfondare le difese e ad espugnare anche il castello.
Nel massacro che ne seguì, tutti i maschi di oltre quindici anni furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù. Secondo alcune ricostruzioni storiche, i morti furono in totale 12.000 e i ridotti in schiavitù 5.000, comprendendo anche le vittime dei territori della penisola salentina intorno alla città.
I superstiti e il clero si erano rifugiati nella cattedrale a pregare con l'arcivescovo Stefano Pendinelli. Gedik Ahmet Pascià ordinò loro di rinnegare la fede cristiana, ma ricevendone un netto rifiuto, irruppe con i suoi uomini nella cattedrale e li catturò.