Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene (Campi Salentina, 1º settembre 1937 – Roma, 16 marzo 2002) è stato un attore, drammaturgo, regista, scrittore e poeta italiano, considerato uno degli artisti più poliedrici nella storia del teatro mondiale.
Carmelo Bene
Biografia
Nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce, alle ore nove e trenta del 1º settembre 1937, da genitori originari di Vitigliano, piccola località del Salento meridionale, frazione di Santa Cesarea Terme. I suoi genitori gestivano una fabbrica di tabacco dove lavoravano diverse centinaia di giovani operaie. Carmelo era un bambino gracile, timido, introverso, taciturno. Sua madre era fervente cattolica, praticante, così il piccolo Carmelo si trovò a servire «un'infinità di messe», sia a Campi Salentina che a Lecce, dove abitava sua zia Raffaella, anche tre o quattro al giorno. Una vocazione, questa, che smise man mano, fino a diventare allergico a qualsiasi tipo di ritualizzazione religiosa.
Frequentava la scuola degli Scolopi di Lecce, nella quale molti degli «insegnanti di religione erano oltre che degli incompetenti in teologia, anche bestemmiatori e pedofili», secondo quanto si riscontra nella sua autobiografia. Trascorre così l'infanzia perlopiù fra i vezzi affettuosi di questa moltitudine di ragazze, la scuola degli Scolopi e le gite domenicali a Lecce.
Dopo gli studi presso l'Istituto Calasanzio dei Padri Scolopi di Campi Salentina, dove frequenta le scuole medie ed il liceo classico sino al secondo anno, conclude gli studi classici nel Collegio Argento dei Padri Gesuiti di Lecce. In seguito si iscrive, diciassettenne, alla Facoltà di Giurisprudenza a Roma, senza tuttavia frequentarla, tranne inizialmente per quel che riguarda le lezioni di anatomia. Si iscrive allo stesso tempo al primo anno dell'Accademia Sharoff. Da Lecce gli arriva la cartolina precetto e parte così per la visita di Leva, ma, non volendo sprecare inutilmente 18 mesi delle sue «numerose vite», evita di fare il militare fingendosi omosessuale, mandando con ciò su tutte le furie il capitano addetto al colloquio. Anche all'esame psichiatrico risultò la sua ambivalenza, guadagnando così l'attestato di Ram (ridotta attitudine militare).
Nel 1957 si iscrive all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica «Silvio D'Amico» e ne frequenta i corsi per un solo anno, ritenendoli del tutto inutili: esisteva un certo attrito fra lui e gli insegnanti, e lo stesso Carmelo Bene sintetizza i divergenti punti di vista affermando: «Il metodo per risvegliare i sentimenti era l'accademia Sharoff, quello per addormentarli la Silvio D'Amico». E altrove: «Per fortuna, dopo un anno passai a non frequentare la Silvio D'Amico». Diventò presto famigerata la battuta: «Come va? Non c'è Bene grazie». Bene ricorda che alla Silvio D'Amico, solo due insegnanti credevano in lui: l'insegnante di metrica e la signora Morino, trent'anni primattrice con Ruggero Ruggeri.
A Roma i genitori gli pagano solo l'affitto e un minimo di vitto, perciò in questi primi anni romani Carmelo si vede costretto, per sostenere la propria vita sregolata, a lavorare di astuzia, a praticare ed inventare sotterfugi. Sono questi gli anni delle colossali sbronze, che poi - racconta Bene - proseguiranno per molto tempo: «Per quasi vent'anni ho bevuto in media tre bottiglie di Ballantine e fumato una stecca di Gitanes al giorno...». Finisce spesso per essere arrestato: «Bastava girare con la barba non rasa di un giorno» per essere fermato, interrogato o addirittura arrestato. Se poi si era in preda al delirio alcolico si finiva diritti dentro. Nel solo anno 1958 Carmelo Bene trascorse «trecentoventicinque notti nei vari commissariati di zona».
Debutta ventiduenne in teatro con Caligola di Albert Camus nel 1959, per la regia di Alberto Ruggiero. Dopo le prime esibizioni romane torna a Campi Salentina con l'intento di sposare Giuliana Rossi, un'attrice fiorentina di sei anni più grande, mal vista dalla famiglia di lui.
Il padre, in combutta con il primario, arriva a farlo internare al manicomio per un paio di settimane, senza una motivazione plausibile, se non quella sottaciuta di far scemare l'attrazione e l'intenzione a realizzare il matrimonio; Giuliana poi subisce esplicite minacce. Si sposano comunque a Firenze il 23 aprile del 1960, «più per accontentare la suocera che per effettiva vocazione» e dalla loro unione nasce un figlio, Alessandro, che viene allevato prevalentemente dai nonni materni e muore di tumore in giovane età il 3 ottobre 1965 all'ospedale Meyer di Firenze.
In questo periodo fiorentino avviene l'incontro letterario fondamentale della sua vita; legge l'Ulisse di James Joyce che lo affascina talmente da sconvolgerne il modo di pensare, sottraendogli gli ultimi residui di esistenzialismo, e mutandone il modo stesso di fare teatro. Dopo questo primo impatto letterario Carmelo Bene lascia Firenze, vivendo un periodo di «pura erranza», «scombussolato», senza una meta, prima di approdare a Genova.
Nel 1960 conosce e si lega in amicizia con Aldo Braibanti e Sylvano Bussotti il quale cura le musiche dello Spettacolo-concerto Majakovskij che si tiene a Bologna nello stesso anno. Con la seconda serie di repliche del Caligola del 1961 Bene diventa «regista di se stesso», e da Genova in poi, non delegherà più a nessun altro la regia del suo teatro. Tra il 1961 e il 1962 realizza il primo Amleto, «tutto shakespeariano, non ancora pervertito in Laforgue», ed il primo Pinocchio.
Da quel vivaio che fu la Compagnia D'Origlia-Palmi, in auge a Roma tra gli anni trenta e settanta, Carmelo Bene ebbe modo di prelevare attori come Manlio Nevastri (in arte Nistri), Luigi Mezzanotte e Alfiero Vincenti:
«Giovanissimo capocomico, senza un soldo, circondato finalmente da guitti straordinari reperiti nel Borgo Santo Spirito dalla signora D'Origlia e dal cavalier Palmi, miei ottimi amici.»
Dal 1961 fino al 1963 vediamo costituirsi il cosiddetto "Teatro Laboratorio" (con gli attori prelevati dall'anzidetta compagnia), realizzato in un locale di Trastevere, nel cortile al numero 23 di San Cosimato. Viene in seguito chiuso definitivamente a causa del fattaccio del «piscio» sulla platea e sull'ambasciatore argentino attribuito a Carmelo Bene, ma perpetrato dal pittore argentino Alberto Greco. Al Teatro Laboratorio si allestiscono gli spettacoli cabaret con titoli significativi come Addio porco, una specie di happening, goliardata o presa in giro, che serviva a raggranellare denaro attirando gente snob e ricca a caccia di emozioni forti. Lo spettacolo Cristo '63 (registrato da Alberto Grifi ma che viene censurato) scatena più d'uno scandalo, fino ai tafferugli con la polizia. Lo stesso Bene racconta:
«La sera della prima successe un parapiglia infernale. Questo Greco, poco assuefatto al bere, si briaca di brutto [...] L'apostolo Giovanni (il Greco) cominciò a dare in escandescenze [...] In ribalta si alza la veste, mette il lembo fra i denti e comincia a orinare nella bocca dell'ambasciatore d'Argentina, della consorte in visone e dell'addetto culturale.
Nel frattempo, si faceva passare le torte destinate al dessert e le spappolava in faccia a quel diplomatico e signora [...] Fui condannato in contumacia [... e poi] assolto per essere estraneo ai fatti.»
Lo stesso evento si ripeté successivamente in una villa sulla Cassia Antica messa appositamente a disposizione da una gallerista col solo scopo di far rivivere quel fatidico happening, comprensivo di tafferugli, e questa volta furono i Re Magi che si misero a orinare addosso alle signore impellicciate.
In questi primissimi anni, dal Caligola in poi, fino alla parentesi cinematografica, Carmelo Bene in definitiva non trae altro successo che dallo scandalo, come ricordano, fra gli altri, Franco Quadri, Lydia Mancinelli e lo stesso Carmelo Bene nella sua autobiografia. D'altra parte Giuliana Rossi descrive Carmelo come un irresponsabile, cinico, sprezzante verso il prossimo, ma di indubbio fascino e accattivante. Ma questo suo comportamento biasimevole, veniva compensato da una forza creativa e una cura maniacali straordinarie che dedicava ai suoi spettacoli.
Sempre nel 1963 e quasi subito dopo la chiusura del Teatro Laboratorio, Carmelo Bene si imbatte casualmente, per la prima volta, in un'edizione laforguiana, che gli farà in seguito concepire poi i suoi Amleti, "pervertiti" puntualmente in Laforgue. Già pensa alla sua Salomè; legge anche The Monk di Matthew Gregory Lewis che porterà poi in scena il 12 ottobre 1966 al Teatro delle Muse, con la rivisitazione dal titolo Il Rosa e il Nero. Sempre nel 1963 viene allestito l'Edoardo II tratto da Marlowe che, in una delle sue repliche all'Arlecchino, vede fra gli spettatori la compagnia degli attori del Living Theatre, di passaggio a Roma, con i quali Bene stringe amicizia. Lavora contemporaneamente all'Ubu roi da Alfred Jarry che porterà al Teatro dei Satiri e alla Salomè da Oscar Wilde (con lo "straordinario" Franco Citti nei panni di Giovanni Battista) al Teatro delle Muse, davanti a un pubblico accanito e irriducibile composto come al solito da detrattori e da sostenitori (Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, John Francis Lane, Alberto Moravia).
Comincia in questo periodo il lungo sodalizio artistico-sentimentale con l'attrice Lydia Mancinelli la quale per la prima volta recita in La storia di Sawney Bean (su testo di Roberto Lerici) del 1964. Negli anni sessanta-settanta Lydia Mancinelli e Alfiero Vincenti sono per Carmelo Bene due figure fondamentali e insostituibili.
Il 1964 segna anche l'anno del debutto al Teatro delle Muse della prima Salomè tratta da Oscar Wilde, con la partecipazione di Franco Citti nella parte di Jokanaan. Lo spettacolo è osannato da Ennio Flaiano e da Alberto Arbasino, oltre che da John Francis Lane inviato del Times di Londra; fu criticato invece aspramente da Giuseppe Patroni Griffi. Dello stesso anno è la Manon, spettacolo teatrale tratto dalla Manon Lescaut di Prevost, le cui recensioni dell'epoca (come per gli altri suoi spettacoli) imputano un certo gusto per lo scandalo e una tendenza a voler stupire fine a sé stessa, cosa che Bene smentisce, asserendo che questa "rappresentazione" già era il suo "teatro degli handicap" a venire pienamente affermatosi negli anni '80.
Dopo il sequestro e la chiusura definitiva del Teatro Laboratorio trascorrono sei mesi con l'allestimento del Teatro Carmelo Bene al Divino Amore (1967), esperienza breve come l'altra precedente del Beat '72, la cui apertura avviene nel 1966. Inoltre, in questo stesso periodo, tra il 1965 e il 1966, Bene scrive i romanzi Nostra Signora dei Turchi e Credito italiano, portati poi a teatro, sostenuti e apprezzati da intellettuali e critici quali Flaiano e Arbasino, ma, come tutta l'opera beniana di questo periodo, il successo ebbe più che altro un riscontro elitario. Viene portato in scena al Teatro delle Muse Il Rosa e il Nero, rivisitazione di The Monk di Matthew Gregory Lewis.
Risale a questo periodo una testimonianza della trasmissione televisiva Avvenimenti 30. La voce fuori campo del cronista commenta:
« Un giovanotto magro, nervoso, spiritato, venuto dalle Puglie per inventare a Roma un suo personalissimo teatro. Si chiama Carmelo Bene. Non ha ancora trent'anni. Ha già scritto un romanzo Nostra Signora dei Turchi. Ha diretto come attore, autore, regista, una decina di spettacoli. Dieci spettacoli, dieci polemiche clamorose. È un istrione? Oppure: è un genio? È un mistificatore? Su questi giudizi il pubblico e la critica si danno battaglia ..... »
Carmelo Bene pensa ora di abbandonare il teatro per dedicarsi ad altro. Nel 1967 Pier Paolo Pasolini lo invita a partecipare al suo film Edipo re. Intanto Nelo Risi, avendo progettato un film su Pinocchio, propone la parte della fatina a Brigitte Bardot, quella di Pinocchio a Carmelo Bene e quella di Geppetto a Totò; ma questi morì proprio nel 1967, mandando in fumo il progetto. Nello stesso anno Bene inizia la sua esperienza da regista cinematografico, arrivando l'anno successivo a vincere il Leone d'Argento al Festival di Venezia con quello che viene considerato il suo capolavoro: Nostra Signora dei Turchi. Fra i suoi principali amici e collaboratori di questo periodo vi furono il noto attore, autore e regista tarantino Cosimo Cinieri, Mario Ricci, Leo de Berardinis, Piero Panza e il noto pittore e scenografo leccese Tonino Caputo. Nel 1969 vediamo Bene partecipare come attore in Umano non umano, film di Mario Schifano. La parentesi cinematografica dura sino al 1973, costituita da una serie di lungometraggi come Capricci (1969), Don Giovanni (1970), Salomè (1972), oltre al già citato Nostra Signora dei Turchi, che spesso producono in Italia reazioni sconsiderate, violenza gratuita e spaccatura di pubblico e critica, tra fautori e detrattori. Un Amleto di meno segna la fine di questa meteorica apparizione cinematografica di Carmelo Bene, esperienza mai più ritentata. Il 1970 è l'anno in cui Carmelo Bene conosce Salvador Dalí ed Emilio Villa, che contribuiscono a segnare la sua esperienza artistica. In questo stesso anno un Don Chisciotte televisivo commissionato dalla RAI sfuma, poiché il progetto viene ritenuto impopolare. Il cast d'eccezione contemplava, oltre a Carmelo Bene, artisti di fama come Eduardo De Filippo, il clown sovietico Popov e Salvador Dalí (scenografo). Stessa sorte toccò a un altro progetto filmico fatto insieme con Eduardo, tratto da La serata a Colono di Elsa Morante. Scrive inoltre A boccaperta, pensato inizialmente come una sceneggiatura dedicata a San Giuseppe da Copertino. Partecipa inoltre in qualità di attore a film come Necropolis di Franco Brocani e a Storie dell'anno mille di Franco Indovina.
Carmelo Bene in una scena del film Un Amleto di meno
Nel 1972-1973, Con il ritorno al teatro, dopo la parentesi cinematografica, Carmelo Bene ottiene un vero trionfo. Il primo spettacolo teatrale di Nostra Signora dei Turchi, riportata di nuovo in scena, con le sue venticinque repliche romane, vede in platea un'infinità di "nomi che contano", tra cui Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Vittorio Gasman, Mariangela Melato, Giuseppe Patroni Griffi, Alberto Moravia, Renzo Arbore, Gianni Morandi, Gigi Proietti, Elsa de' Giorgi, Enzo Siciliano, Franco Franchi e tanti altri. Del 1973 sono le interviste impossibili radiofoniche con testi di Ceronetti, Sermonti e Manganelli, in cui Carmelo Bene e altri attori danno immaginificamente voce a vari personaggi storici e preistorici.
Il 1974 segna l'anno della sua prima apparizione in televisione con "Quattro modi di morire in versi: Majakowski, Blok, Esenin, Pasternak" con la collaborazione di Roberto Lerici e Angelo Maria Ripellino, che ottiene un grande successo di pubblico e critica e un indice d'ascolto elevatissimo. Con gli anni settanta iniziano le assidue frequentazioni della Versilia dove Bene incontra intellettuali e uomini di cultura come Eugenio Montale, Vittorio Bodini, lo scultore Henry Moore. Inizia anche il febbrile interessamento di Bene per la storia medicea e in particolare per Lorenzino de' Medici, detto Lorenzaccio, la sfinge medicea, che lo farà impazzire per un decennio. Nel 1975 Carmelo Bene partecipa come attore nel film di Glauber Rocha Claro. In questo stesso anno, durante la recita dell'Amleto al Manzoni di Milano, venne a sapere della morte del suo amico Pier Paolo Pasolini. La stagione teatrale continua nel 1976 al Teatro Metastasio di Prato con Faust-Marlowe-Burlesque e Romeo e Giulietta da W. Shakespeare. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta Bene conoscerà grandi successi. Nel 1977 viene messo in onda il Riccardo III televisivo. Alla prima al Teatro Manzoni il suo S.A.D.E. viene fatto sospendere dal questore di Milano per oscenità, provvedimento motivato apparentemente dalla presenza di nudi femminili sul palcoscenico. In questo stesso anno Bene ottiene un successo strepitoso in Francia, portando a Parigi (Opèra-Comique, Festival d’Automne) i suoi spettacoli teatrali (undici repliche di S.A.D.E., sei di Romeo e Giulietta) e dove conoscerà Jean-Paul Manganaro e altri intellettuali francesi con cui intesserà rapporti duraturi e molto proficui. Nella capitale francese frequenta Gilles Deleuze, Pierre Klossowski, Michel Foucault, conosce Jacques Lacan ed altri.
Il 1979 segna l'inizio del suo periodo cosiddetto concertistico e della macchina attoriale, arrivando ad esibirsi alla Scala di Milano con un memorabile Manfred in forma di concerto accompagnato dalle musiche di Robert Schumann. Di questo anno è un Otello televisivo, realizzato a Torino insieme a Cosimo Cinieri, ma il restauro e il montaggio venne iniziato soltanto nel 2001, sotto la vigile direzione di Bene. Il 1980 vede la V edizione dello Spettacolo-concerto Majakovskij al Teatro Morlacchi di Perugia e l'Hyperion. In questo suo periodo di "approfondimento musicale", conosce e stringe amicizia con il tenore Giuseppe Di Stefano, il quale amava appellarsi il "Carmelo Bene della musica", definito da questi a sua volta, in sintonia con Toscanini, "la più bella voce mai sentita".
Nel 1981, con la Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli di Bologna, porta la lettura della Divina Commedia davanti ad un pubblico di oltre centomila persone, in occasione del primo anniversario della strage della stazione. Terza edizione del Pinocchio al Teatro Verdi di Pisa. Nell'estate del 1982 a Forte dei Marmi scrive Sono apparso alla Madonna, titolo che gli viene suggerito dall'inconsapevole Ruggero Orlando, in preda ad una delle sue sbornie. Anche se contrito da vari malanni fisici e dagli abusi, prosegue forsennato, anche se in modo discontinuo, a calpestare le scene teatrali. Nel 1983 abbiamo la rappresentazione del Macbeth al Teatro Lirico di Milano, L'Egmont in Piazza Campidoglio a Roma; l'Adelchi nel 1984 al Teatro Lirico di Milano; la seconda edizione di Otello nel 1985 al Teatro Verdi di Pisa; Lorenzaccio nel 1986 al Ridotto del Teatro Comunale di Firenze. Il 12 settembre del 1987 Carmelo Bene è a Recanati per recitare i Canti di Leopardi e il 10 novembre dello stesso anno al Teatro Piccinini di Bari con Hommelette for Hamlet.
Nel 1988 Carmelo Bene viene nominato clamorosamente direttore artistico della sezione teatro della Biennale di Venezia, suscitando non poche polemiche, finendo poi per degenerare il tutto in querele e contro-querele, ricorsi, per un'intricata faccenda di competenze e responsabilità, e addirittura di appropriazione indebita di opere d'arte. Il 12 gennaio 1989 vede la seconda edizione della Cena delle beffe al Teatro Carcano di Milano (con la partecipazione dell'attrice Raffaella Baracchi, che sposerà nel 1992) e il 26 luglio dello stesso anno il Pentesilea al Castello Sforzesco che l'anno dopo, il 19 maggio, verrà ripreso a Roma, al Teatro Olimpico. Nonostante gli acciacchi e i diversi interventi chirurgici subiti, e che subirà ancor più in seguito, non tradirà la sua fama di enfant terrible. Memorabili furono le sue apparizioni televisive a Mixer Cultura (1988) e al Maurizio Costanzo Show (1994 e 1995).
Alla fine del dicembre del 1990 Carmelo Bene è a Mosca per insistenza e intraprendenza di un suo grande ammiratore, Valerj Shadrin, realizzando un successo strepitoso. Al suo seguito troviamo, tra gli altri, Camille Dumoulié, Jean-Paul Manganaro, Gian Ruggero Manzoni ed Edoardo Fadini. Questa sua collaborazione e "ricerca teatrale" in terra russa durerà circa tre anni, suscitando, a dire di Bene, non pochi clamori e ostilità nell'ambito dell'E.T.I. Nel febbraio del 1992 Carmelo Bene spende 200 milioni di lire per far pubblicare e reiterare delle inserzioni pubblicitarie o propagandistiche sul "Messaggero" e la "Repubblica" che in definitiva si dimostreranno essere tout court potenti armi scagliate soprattutto contro il "Ministero dello spettacolo" e il Teatro Stabile. Questo evento clamoroso fu infatti avvertito come una calunnia e un danno da parte degli interessati addetti ai lavori, tanto che seguiranno poi querele, con richiesta di risarcimento di due miliardi di lire, da parte del Teatro di Roma, rivolte contro i quotidiani anzidetti e contro lo stesso Bene. Ecco l'incipit di uno stralcio estratto da quelle fatidiche inserzioni.
« Oggi lo Stato dello Spettacolo è in mutande: per sopravvivere ad ogni costo, MINACCIA contributi e sovvenzioni (a una marea indiscriminata di sfaccendati che - "quasi" NESSUNO ESCLUSO - può giovare al teatro in un solo modo: togliendosi di mezzo=disoccuppandosene) [...] »
Dopo pochi mesi di matrimonio con Raffaella Baracchi, i quotidiani riportano la notizia delle percosse inflitte da Bene alla moglie incinta di sei mesi, per fortuna senza gravi conseguenze né per la moglie né per il feto. Seguiranno poi querele e controquerele in cui vengono a trovarsi coinvolti direttamente anche i carabinieri. Nel 1994 vediamo Bene con l'Hamlet Suite al 46º Festival shakespeariano al Teatro Romano di Verona. Nel 2000 con la pubblicazione del poema 'l mal de' fiori viene acclamato "poeta dell'impossibile" dalla Fondazione Schlesinger, istituita da Eugenio Montale, la cui presidenza onoraria era tenuta allora da Rita Levi-Montalcini.
Il 6 ottobre del 2000 Carmelo Bene affida, tramite pubblico testamento, i diritti delle sue opere alla fondazione l'Immemoriale di Carmelo Bene. Il 16 marzo del 2002 Carmelo Bene muore a Roma. Giancarlo Dotto così lo ricorda.
« Non è solo l'amico che manca, ma quella voce, chissà dov'è andata, quella voce che ci dava calma e forza, quella voce che dà la nostalgia di tutto ciò che abbiamo perduto senza avere mai avuto. »
Per espressa sua volontà il suo corpo fu cremato e il suo funerale non reso pubblico. La lapide riporta solo il suo nome e cognome e le date, di nascita e di morte. Anche dopo la morte, Bene non cessa di alimentare polemiche e contrasti. Raccontano alcuni testimoni, tra cui Roberto D'Agostino, che proprio durante la veglia funebre, ci fu un alterco verbale, che stava per degenerare in una violenta rissa, tra Luisa Viglietti (compagna di Bene negli ultimi suoi nove anni) con la Baracchi, la quale si era presentata con la figlia Salomè insieme al suo legale. Come se non bastasse, alla successiva tumulazione ufficiale delle ceneri nel cimitero di Otranto sono seguite una serie di contrasti sulla loro definitiva e giusta sistemazione, che vedono come protagonisti contrapposti la moglie Raffaella Baracchi e la sorella Maria Luisa insieme a Luisa Viglietti, entrambe assenti al funerale ufficiale, data la loro esplicita disapprovazione. La sorella in particolare lo ha commemorato (senza la presenza dell'urna) nel camposanto di Vitigliano (Santa Cesarea Terme), laddove riposano le ceneri della madre Amelia.
Controversie riguardo alla morte
Il 13 gennaio 2009 Maria Luisa Bene, sorella di Carmelo, annuncia ai media di non credere alla morte per cause naturali del fratello. "Io, Maria Luisa Bene - dice la donna - avendo piena consapevolezza delle mie condizioni di salute, rendo noto di non intendere lasciare questa terra senza che il mondo sappia che mio fratello, Carmelo Bene, nominato 'chevalier des lettres et des arts' dal governo Mitterrand, è morto per mano altrui".
Opera
La sua discussa e controversa figura, spesso oggetto di clamorose polemiche, ha diviso critica e pubblico fin dagli esordi: considerato da alcuni un affabulante ingannatore e un presuntuoso "massacratore" di testi, per altri Bene è stato uno dei più grandi attori del Novecento. Dalle dichiarazioni di Bene risulta evidente il suo disprezzo per certa critica teatrale, da lui ritenuta "piena di parvenus". Tra i primi a rendergli omaggio si ricordano alcuni tra i più illustri esponenti del mondo intellettuale dell'epoca, come, ad esempio, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini. Bene ebbe poi modo di collaborare, tra gli altri, con Pierre Klossowski e Gilles Deleuze, i quali scrissero alcuni saggi sul modo di fare teatro dell'artista italiano. La lotta di Bene si rivolge contro il naturalismo e la drammaturgia borghese, contro le classiche visioni del teatro. Rivendica l'arte attoriale innalzando l'attore da mera maestranza (così definita da Silvio D'Amico) ad artista-personificazione assoluta del complesso teatrale. Il testo, poiché nato dalla penna di uno scrittore spesso avulso dal problema del linguaggio scenico, non può essere interpretato: esso deve necessariamente essere ricreato dall'attore.
Carmelo Bene è contro il teatro di testo, per un teatro da lui definito "scrittura di scena", un teatro del dire e non del detto. Fare "teatro del già detto" sarebbe un ripetere a memoria le parole di altri senza creatività, quello che Artaud definiva un "teatro di invertiti, droghieri, imbecilli, finocchi: in una parola di Occidentali". È l'attore, con la scrittura di scena, a fare teatro hic et nunc. Il testo viene considerato come "spazzatura", perché lo spettacolo va visto nella sua totalità. Il testo ha il medesimo valore di altri elementi come le luci, le musiche, le quinte. Il teatro di testo, di immedesimazione, viene definito da Bene come un teatro cabarettistico. Gli attori che si calano in dei ruoli, che interpretano, sono per lui degli intrattenitori, degli imbonitori, dei "trovarobe". Nel suo teatro, l'attore è l'Artefice. Il testo non viene più messo in risalto come nel teatro di testo, viene anzi martoriato, continuando un discorso iniziato da Artaud, che già aveva iniziato la distruzione del linguaggio, ma che per Bene fallì sulle scene, perché cadde nella interpretazione.
Bene distrugge l'Io sulla scena, l'immedesimazione in un ruolo, a favore di un teatro del soggetto-attore. Bene è stato definito Attore Artifex, cioè attore artefice di tutto. Bene preferiva definirsi, con un neologismo, una "macchina attoriale": autore, regista, attore, scenografo, costumista. Buona parte delle opere letterarie di Carmelo Bene le possiamo trovare raccolte in un volume unico, dal titolo Opere, con l'Autografia di un ritratto, nella collana dei Classici Bompiani. Inoltre La Fondazione Immemoriale di Carmelo Bene si preoccupa della "conservazione, divulgazione e promozione nazionale ed estera dell'opera totale di Carmelo Bene, concertistica, cinematografica, televisiva, teatrale, letteraria, poetica, teorica, ..."
Influenze sull'opera beniana
Sarebbe fuorviante parlare di "influenza" tout court sull'opera beniana, considerata l'impossibilità di trovare raffronti e/o filiazioni storico-geografiche, e come scrive Piergiorgio Giacchè, "chi conosce Bene e il suo teatro, sa che la sua singolarità è assoluta". Bisogna considerare inoltre il fatto che già dagli esordi Bene si è dichiarato una volta per tutte "allievo di sé stesso".
Stabilita questa unicità e dando al termine "influenza" un valore puramente indicativo e convenzionale, possiamo allora dire che tra le non poche "influenze", più o meno decisive, riscontrabili nella sua opera, si possono citare: Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, De Sade, Dino Campana, Tommaso Landolfi, Antonio Pizzuto, Elsa Morante, Emilio Villa, Gian Ruggero Manzoni, Oscar Wilde, James Joyce, Thomas Eliot, Franz Kafka, Vladimir Majakovskij, Charles Baudelaire, William Shakespeare, Christopher Marlowe, John Donne, Jules Laforgue, Edgar Allan Poe, San Juan de la Cruz, Pier Paolo Pasolini, Buster Keaton, Totò, Jean Genet, João César Monteiro, Ettore Petrolini, Peppino De Filippo, Eduardo De Filippo, Antonin Artaud, Living Theatre, Bertolt Brecht (con qualche riserva), Samuel Beckett, Friedrich Nietzsche, Emil Cioran, Jacques Lacan, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Sigmund Freud, Thomas Hobbes, Ferdinand de Saussure, Pierre Klossowski, Leopold von Sacher-Masoch, Salvador Dalí, Francis Bacon, Giorgio De Chirico, Giuseppe Verdi, Gioachino Rossini, Maria Callas, e tant'altri.
Fuori dal campo dell'arte e della filosofia, hanno contribuito alla sua formazione (oltre alla famiglia e all'ambiente nativo salentino naturalmente), le influenze sospese tra una probabile storia e l'immaginario come San Giuseppe da Copertino, Lorenzaccio, la non-storia dei Santi. Decisive furono inoltre le esperienze delle migliaia di messe servite, dove l'infante Carmelo incominciò quasi inconsapevole ad avere a che fare con. "il teatro come incomprensibilità e come incomprensione tra officianti e spettatori". Altra esperienza indimenticabile fu il mesetto, poi ridotto a due settimane, di permanenza in manicomio dove incominciò a rendersi conto del "linguaggio istituzionale normale" e quello "'scombinato o impeccabile" dei pazzi, delle vere "macchine demolitrici".
Il Grande Teatro
Il linguaggio e la terminologia usati per spiegare il suo modo di concepire e "dis-fare" il teatro sono unici e inequivocabili, mai tentati prima, perciò Carmelo Bene si sente sempre necessitato a precisare, dicendo che il Grande Teatro, o altrimenti detto teatro senza spettacolo, è:
..... un non-luogo soprattutto; quindi è al riparo da qualsivoglia storia. È intestimoniabile. Cioè, lo spettatore per quanto Martire, testimone, nell'etimo [da martyr], per quanti sforzi possa compiere lo spettatore, dovrebbe non poter mai raccontare ciò che ha udito, ciò da cui è stato posseduto nel suo abbandono a teatro.
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